Desidero riprendere a scrivere i miei articoli facendo una riflessione di volta in volta su degli artisti che molto mi affascinano. Questo articolo altro non è che un’introduzione.
Sin da sempre la psicoanalisi si è occupata dell’arte. L’arte infatti è espressione di vissuti. L’opera d’arte ha valore evocativo, riattivando emozioni e sensazioni. Ha la forza di far affiorare contenuti profondi. È proprio questo affiorare che rende l’arte terapeutica.
La psicoterapia attraverso l’utilizzo dell’arte facilita il contatto del soggetto con sé stesso.
Nell’arte terapia il linguaggio verbale, ha comunque un ruolo determinante ma viene affiancato da un linguaggio di tipo non verbale, attraverso il quale vengono agite e rivelate le voci interiori di ognuno.
Arte e psicoterapia hanno aspetti comuni, questo si sa fin dagli albori della psicoanalisi.
È proprio Freud che ha il merito di aver individuato delle similitudini tra il contenuto della creazione artistica e quello della psicoanalisi.
Freud si interessò a diverse opere artistiche, interpretando psicoanaliticamente i moventi inconsci dei personaggi e degli autori della letteratura ma anche degli artisti in genere.
Freud sosteneva che l’arte svolga una funzione di sublimazione dei conflitti consci ed inconsci a sfondo pulsionale.
Da qui il pensiero che l’arte abbia una funzione terapeutica in quanto l’artista riesce a trasformare, dunque a “sublimare” i propri conflitti attraverso la sua opera.
La creatività fu intesa come figlia di una difesa del soggetto che portava l’artista a risolvere i suoi conflitti, attraverso una sorta di “mascheramento” accettabile da se stesso e dall’ambiente circostante.
Nel 1906 Freud nel saggio Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen; analizza il testo letterario esplorando i contenuti psichici del personaggio e dell’autore. Freud pubblica inoltre i saggi su Leonardo, su Michelangelo e si interessa di Dostoevskij. L’interesse verso la creazione artistica serve a comprendere meglio il funzionamento della psiche umana.
Jung vede invece la funzione terapeutica dell’arte specificando come essa attinga agli archetipi dell’inconscio e all’inconscio collettivo.
Neumann, allievo di Jung, rovescia la concezione freudiana dell’artista facendo di questo un uomo che non si maschera ma “si espone” alla tensione dialettica tra conscio ed inconscio, tra l’ideale dell’io e l’ombra, tra collettivo ed individuale.
Neuman afferma che la genialità creativa può travolgere all’improvviso come in Rimbaud o può essere un processo graduale di crescita come in Klee.
Il rischio per l’uomo creativo è il naufragio nell’inconscio collettivo come accade nello psicotico o la “dispersione nel caos” o la “mortificazione nella rigidità”. Neumann sostiene che la via da intraprendere è quella della trasformazione.
Vorrei volgere un momento lo sguardo a Munch in modo esemplificativo, che desidero poi riapprofondire. Munch attraverso la sua opera “Il grido” crea una figura attraverso la quale riesce ad esprimere la sua dolorosa esperienza. Nell’opera dell’artista vengono rivoluzionati sia lo spazio che la prospettiva in modo che l’osservatore possa entrare facilmente nella dinamica del quadro. Nelle sue opere i contenuti maggiormente presenti sono la memoria ed il ricordo in quanto il suo percorso artistico è una strada di recupero della memoria, dei frammenti di vita di cui riappropriarsi, anche se dolorosamente.
Dott.ssa Mariachiara Pagone